La valutazione dei rischi per le stampanti 3D

Oggi parliamo della valutazione del rischio sulle stampanti 3D. Perché questo argomento così particolare?

Perché le stampanti 3D esistono da una ventina d’anni, ormai le trovi ovunque. Molto spesso, però, vengono viste solo come dei “giocattolini” quando in realtà alcune sono vere e proprie attrezzature da lavoro. Ci sono stampanti 3D grandi come capannoni che stampano metalli, altro che giocattoli!

Se ti fai un giro su Google e scrivi “valutazione del rischio stampante 3D” non trovi niente. Quindi mi sono messo nei panni di chi ne acquista una (o dell’RSPP dell’azienda) e ho deciso di fare un webinar da cui è nato questo articolo. L’ospite d’onore era Simone Bettinelli, ASPP dell’Istituto Italiano di Tecnologia.

Se preferisci guardare il video lo trovi su YouTube qui.

Stampanti 3D e addictive manufacturing: di cosa stiamo parlando

La stampa 3D – anche nota come addictive manufacturing – è riuscita negli ultimi anni a rivoluzionare completamente l’approccio alla produzione industriale. La differenza fondamentale tra produzione additiva e fabbricazione “classica” è facilmente intuibile: mentre il metodo tradizionale prevede di asportare dalla materia prima e ottenere così il componente desiderato, con la stampa 3D si va invece ad aggiungere materiale solo dove è necessario.

Ma come funziona in pratica la stampa 3D?

Tutto parte da un modello digitale, in formato CAD. Questo modello viene poi diviso in “fette”, ovvero in tanti piccoli layer; le informazioni sui layer vengono quindi passate alla stampante, che andrà a produrre i vari livelli fino ad ottenere l’oggetto progettato. In questo modo è possibile realizzare oggetti molto complessi che sarebbero difficili (o impossibili) da creare con altri metodi di produzione.

L’addictive manufacturing è nata ufficialmente nel 1984 con la registrazione del primo brevetto per la prototipazione rapida e negli anni si è sviluppata sempre di più. Oggi quello della stampa 3D è un mercato in rapidissima espansione: nel 2019 si stimava un valore globale di circa 10,5 miliardi, che dovrebbe arrivare a 33 miliardi già nel 2024.

Inoltre, la pandemia ha fatto da acceleratore nella diffusione di questa tecnologia; le difficoltà legate all’approvvigionamento e i ritardi nei trasporti hanno fatto sì che molte aziende abbiano pensato a soluzioni alternative per crearsi in casa quei componenti che magari prima si facevano spedire dalla Cina.

Insomma, parliamo di una tecnologia destinata a crescere e a occupare sempre più posto nelle fabbriche, grazie anche alla sua estrema versatilità.

Ma quali sono i vantaggi legati alla stampa 3D? In breve:

  • Una sola stampante può realizzare innumerevoli componenti molto diversi tra loro
  • Grande autonomia delle macchine, è richiesto solo un minimo intervento degli operatori
  • Possibilità di realizzare strutture complesse (es. strutture lapis) ed estremamente customizzate
  • Risparmio di materie prime – si inserisce materiale solo dove davvero necessario, senza creare scarti
  • Possibilità di realizzare una produzione decentrata e più sostenibile. Il file digitale di progetto può essere spedito e realizzato ovunque nel mondo, direttamente dove il componente è necessario. Oltre a far risparmiare sulle spese di trasporto, questo significa anche diminuire l’impatto ambientale.

Ovviamente la stampa 3D non sempre è la soluzione produttiva più indicata. Ad oggi ci sono infatti dei limiti importanti, che in alcuni casi rendono più adeguato optare per altre soluzioni. Proviamo a vederli:

  • Volumi di lavoro ridotti rispetto alla produzione tradizionale
  • I componenti stampati in 3D sono ancora di dimensioni contenute (anche se si stanno costruendo macchine per realizzare elementi sempre più grandi)
  • La velocità di produzione è minore rispetto ad altri sistemi
  • Ogni stampante 3D può lavorare solo con materiali specifici (es. una stampante per metalli non potrà lavorare con materiali polimerici)
  • Il costo delle materie prime è più alto (se un chilo di alluminio costa 2/4 €, un chilo di polvere di alluminio per l’addictive può arrivare a 50/60 €)

Dopo questo breve excursus, entriamo ora nel campo che ci interessa di più. Cerchiamo quindi di capire quali sono gli obblighi relativi alla sicurezza e alla documentazione delle stampanti 3D.

La stampante 3D è una macchina? Ha bisogno della certificazione CE?

Questa domanda non è banale come sembra.

Se la stampante 3D ha una dimensione considerevole (o enorme) è sicuramente una macchina, se è piccola viene vista come attrezzatura ordinaria d’ufficio quindi il rischio elettrico è prevalente, e in questo caso non è soggetta alla Direttiva macchine ma alla Direttiva bassa tensione.

Di fatto c’è un vuoto normativo che genera un po’ di confusione… soprattutto se il costruttore non si affida a un maniaco di certificazioni CE come me ma si limita a fare copia e incolla di quello che fanno gli altri. Però non mi puoi dire che una stampante 3D di metalli grande quanto mezzo capannone è un’attrezzatura lineare d’ufficio!

Il primo consiglio che mi sento di dare, dunque, è: attenzione quando scegli il costruttore, selezionane uno che sa cosa ti vende. Nel caso di una stampante 3D che è a tutti gli effetti un’attrezzatura da lavoro, il costruttore dovrebbe fornirti un bel manuale d’uso e manutenzione in lingua italiana (così tu comprendi cosa stai facendo) e ci dovrebbe essere una bella targhetta CE sulla macchina.

Una volta comprata, poi, l’utilizzatore deve fare una valutazione del rischio palese – perché la valutazione del rischio occulto la deve fare il costruttore.

Leggi anche: Valutazione rischio macchine: Come si fa?

Rischi correlati delle stampanti 3D

I rischi correlati alle stampanti 3D

In generale, abbiamo tre tipologie di rischio legate alle stampanti:

Il rischio elettrico è abbastanza chiaro: tutte le stampanti, piccole o grandi, sono collegate all’elettricità, quindi questo aspetto va gestito.

Il rischio legato alle temperature si ha perché ci sono alcune zone della stampante 3D, ad esempio gli ugelli, arrivano a temperature molto alte e quindi potrebbero generare infortuni.

La parte più complessa è quella legata al rischio chimico. I materiali trattati subiscono un processo di degradazione, passando dal filamento al materiale estruso che poi viene depositato. Ci sarà quindi un recipiente che riceve la polvere metallica o la polvere di plastica, la quale poi viene scaldata e inizia a costruire l’oggetto.

In base alle sostanze usate cambiano i rischi (e qui parliamo anche di rischio palese, che deve essere valutato dal costruttore).

Come abbiamo detto, le opzioni tipiche sono due: possiamo avere polveri metalliche o polimeri plastici.

Con le polveri di alluminio abbiamo tutta una problematica legata all’ATEX, perché sono polveri sotto i 50 micron e quindi sono classificate come altamente infiammabili.

Ovviamente molto dipende da com’è progettata la gestione e lo stoccaggio delle polveri, ma è plausibile che una dispersione della polvere ci sia e questo è un tipo di rischio che va assolutamente valutato.

Diciamo che, di base, il costruttore dovrebbe aver fatto una sua valutazione del rischio ATEX per mettere in grado l’utilizzatore di fare a sua volta la valutazione del rischio e di classificare le zone. Su questo incide molto la gestione dell’aspirazione.

L’aspirazione, infatti, cambia molto le cose. Innanzitutto sul fronte ATEX, perché se le atmosfere esplosive non incontrano fonti d’innesco, l’ATEX non c’è proprio. E poi se c’è l’aspirazione l’operatore non respira sostanze nocive (altro grosso problema delle polveri).

Di base dunque dovrà esserci un filtro, ma che tipo di filtro? A carboni attivi? Un filtro che butta verso l’esterno? Un filtro che deve costruire l’utilizzatore, e che quindi può impattare anche a livello di costi?

Attenzione che l’aspirazione – soprattutto con ATEX – deve avvenire tramite un unico canale, che può passare sopra o sotto o ai lati. Non può però essere perpendicolare, non può cioè iniziare sopra e poi andare a lato. Questa è una furbata che ho visto fare ad alcuni ma non va assolutamente bene, perché si rischia di avere accumuli di polveri.

Un altro elemento a cui fare attenzione è l’esterno della macchina, perché comunque è probabile che una dispersione di polvere ci sia, per quanto minima. La pulizia delle zone dove vengono utilizzate polvere esplosive deve essere fatta con un aspiratore apposito per polveri combustibili, marcato ATEX. Ho visto usare gli aspirapolvere da ufficio con le stampanti piccole, evitiamolo, è pericoloso.

Come prepararsi all’arrivo di una stampante 3D

Nel mondo aziendale succede spesso che prima si compra la stampante 3D e solo dopo che è arrivata si coinvolge l’RSPP o l’ASPP. Questa è una bruttissima abitudine, che può causare grane (e spese impreviste).

Parliamo quindi del mondo ideale, del metodo che si dovrebbe usare. Che informazioni raccogliere? Come ci si prepara all’arrivo della stampante?

Partiamo da quello che dovresti sapere:

  • Chi userà la stampante? Di che competenze c’è bisogno?
  • Quale spazio è idoneo per metterla (considerando in caso il cambio di zonizzazione ATEX)?
  • Che materiali vengono trattati?
  • Quali controlli periodici andranno previsti?

A seconda dei materiali trattati dovrebbe partire un campanello d’allarme. Una stampante a filamento difficilmente avrà le problematiche ATEX che abbiamo visto prima, una stampante che lavora la polvere andrà invece necessariamente indagata anche da quel punto di vista.

Può essere una buona idea richiedere al costruttore uno stralcio del manuale d’uso, che può aiutare già a capire come sono state affrontate le problematiche sulla gestione del rischio residuo.

Prendiamo ad esempio le aspirazioni: se emerge che servirà un’aspirazione forzata dedicata, allora è necessario progettare un’estrazione forzata idonea per aspirare quel tipo di emissione (in ragione di quelli che sono i volumi previsti).

Come valutare il rischio residuo delle stampanti 3D?

Ok, diciamo che hai raccolto tutte le informazioni necessarie: ti sei informato sulla macchina e quali materiali usa, hai capito dove metterla e hai qualificato il produttore. Bene, la stampante arriva in azienda, bisogna fare la valutazione del rischio.

Quali sono i criteri? Con quale metodo capisci, ad esempio, se è necessario un addestramento specifico? O come decidere se ti basta il filtro del costruttore o se nel tuo ambiente è necessaria un’aspirazione forzata?

Bada bene, le polveri nocive che emettono certe stampanti sul lungo periodo sono micidiali per la salute. Una volta, prima del COVID, le mascherine si usavano per questo…

I criteri a cui puoi fare riferimento sono quelli della EN ISO 12100, appendice B: l’elenco dei pericoli. Chiaramente alcuni saranno applicabili a questo caso e altri no, ma è bene avere l’elenco in mano e scorrere punto per punto per non dimenticarsi niente.

Il rischio non è sempre uguale: cambia a seconda di chi usa la macchina, di come la usa, della mansione. Un manutentore ha un rischio diverso da un utilizzatore, no? Poi ci sono le stampanti 3D talmente piccole che non c’è una manutenzione pericolosa, ce ne sono enormi dove la manutenzione c’è eccome.

Nel caso di macchine che possono creare emissioni importanti si potrebbero fare anche dei campionamenti ambientali, che permettono di indagare anche quale effettivamente è la dispersione di sostanze in quel determinato contesto e quindi il rischio chimico. Se si confrontano i dati con le disposizioni professionali si vede effettivamente se è necessaria un’aspirazione aggiuntiva.

Rispetto alle eventuali azioni di mitigazione, la gerarchia è sempre quella. Si parte dall’ipotesi dell’eliminazione, che non è sempre possibile, si passa allora alla mitigazione e all’aspirazione forzata. Se questo ancora non è sufficiente si attivano anche i DPI.

Leggi anche: Valutazione rischio macchine: come si fa?

Addestramento all’uso delle stampanti 3D

Passiamo ora ad un altro aspetto a cui tengo molto. Eh sì, perché noi facciamo tutti questi discorsi, poi arriva l’operatore di turno che fa “il genio” e succede il patatrac.

L’addestramento è necessario sia per proteggere i colleghi che per proteggere il datore di lavoro. Bada bene, addestrare è diverso da formare. Addestrare significa che ti insegno a lavorare con l’attrezzatura, formare è solo insegnare le regole.

L’addestramento va dedotto dal manuale (che spesso è carente) e si fa in affiancamento al costruttore (che pure spesso è carente da questo punto di vista). Insomma, in molti casi si scopre come fare lavorando.

L’addestramento andrebbe inoltre formalizzato, con una carta che dice “ti ho insegnato questo, questo e questo, abbiamo seguito questo programma”. E ci vuole la firma, perché se succede un infortunio bisogna poterlo dimostrare.

L’ideale sarebbe far gestire l’addestramento a chi ha un’esperienza importante con la macchina o lavora da anni con quel tipo di attrezzature. Si può incaricare un tecnico specialista di quel settore che “ne sa”, una persona che sarebbe saggio coinvolgere anche nella valutazione, perché chiaramente la sinergia con chi lavora sul macchinario è fondamentale.

In questa fase devono passare alcuni concetti fondamentali, innanzitutto che la macchina non è un giocattolino ma un’attrezzatura da lavoro vera e propria. Può anche essere utile inserire degli estratti della valutazione dei rischi dove emergono alcune problematiche evidenziate dal produttore o dall’RSPP quando ha valutato la gestione del rischio residuo e ha inserito delle procedure di gestione.

Un paio di esempi, anche banali.

  • L’aspirazione deve partire prima della accensione della macchina? Bisogna dirlo.
  • Bisogna far attenzione agli accumuli di polvere all’esterno? Prima fai un sopralluogo e vai a vedere quali sono le zone dove c’è possibile accumulo, poi li inserisci nell’addestramento.
  • Sempre sulla polvere, magari vai a indicare che si aspira e non si soffia, eccetera.

In sintesi

Riassumiamo tutto all’estremo. Arriva in azienda la stampante 3D. Come procedere?

  1. Guardare se la documentazione va bene e leggere il manuale. Dal manuale dovresti dedurre i rischi palesi e i rischi da gestire.
  2. Intervistare un tecnico, un operatore che sa usare quella macchina (o macchine simili). Da questa intervista capisci quali sono i rischi applicabili al caso specifico.
  3. A questo punto hai diverse opzioni a disposizione: provi a eliminare i rischi, se non è possibile intervieni per ridurli o gestirli.

Tutto chiaro?

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