Modello organizzativo 231/2001 e responsabilità degli enti: rischi e opportunità

Oggi parliamo del decreto legislativo 231 del 2001, quello che disciplina la responsabilità degli enti giuridici.

Si tratta di una norma spesso invocata nei processi legati agli infortuni sul lavoro, quindi cercheremo di capire bene come funziona e cosa prevede.

Alla 231/2001 è legato il famoso modello organizzativo, che serve a regolare e formalizzare la gestione della sicurezza in azienda. Insieme vedremo come funziona, a cosa serve e quando è opportuno implementarlo nelle aziende.

L’articolo di oggi è basato su una delle mie chiacchierate digitali con Rinaldo Sandri, avvocato penalista specializzato in sicurezza sul lavoro, che ha fornito la sua esperienza legale in materia.

Leggi anche: Infortunio sul Lavoro – Perizie e indagini

Cosa prevede il d.lgs 231 del 2001?

Il decreto legge 231/2001 regola la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche. In pratica, con l’introduzione di questa legge, le aziende possono incorrere in una responsabilità penale che si aggiunge a quella dei soggetti che operano in nome e per conto dell’azienda (quelli che si chiamano soggetti apicali).

A partire dal 2007, ogni volta che si verifica un infortunio con lesioni gravi può essere contestata non solo la responsabilità penale del datore di lavoro ma anche quella della persona giuridica (l’azienda).

La norma 231 si applica se e solo se l’evento è stato prodotto nell’interesse e a vantaggio della persona giuridica, ovvero dell’azienda. Facciamo un esempio semplice semplice: l’azienda avrebbe dovuto fare formazione sulla sicurezza e non l’ha fatta. Chiaramente questo ha fatto risparmiare dei soldi ed è andato ad interesse e a vantaggio dell’azienda.

Quando viene contestata la 231/2001? Di solito in base alla gravità dell’infortunio. Maggiore è la gravità, maggiore sarà la probabilità che il pubblico ministero invochi anche questa norma.

A differenza dei processi penali “normali”, un processo in cui viene contestata la 231/2001 non va in prescrizione molto facilmente.

Per capirsi: con il reato di lesioni colpose (quello che solitamente si contesta in caso di infortuni) la prescrizione “scatta” dopo 7 anni e mezzo – anche se sono esclusi dei periodi di interruzione tra i vari gradi di giudizio.

Se invece si apre un procedimento penale sulla 231/2001 entro 5 anni dall’evento, le sanzioni amministrative non vanno in prescrizione. In altre parole c’è rischio di sanzione fino alla fine del procedimento penale, a prescindere dal tempo che ci vorrà.

Cosa si intende per “interesse” e “vantaggio” nella 231/2001?

Proviamo a spiegarlo in modo semplice.

  • L’interesse è quando un soggetto agisce e compie un determinato reato per non andare in contrasto con gli interessi della società.
  • Il vantaggio è invece valutato ex-post, per cui può sussistere anche qualora il soggetto abbia agito senza considerare le conseguenze vantaggiose della sua condotta per l’azienda.

In altre parole, il vantaggio ha una misura economica: il risparmio di soldi. Fare le cose con una certa attenzione costa, l’omissione si traduce invece in un risparmio che può essere considerato ex-post un vantaggio perché ha prodotto un beneficio misurabile per l’azienda.

Ti sembra troppo complicato? Vediamo degli esempi per chiarirti le idee.

  1. L’azienda non fa formare i dipendenti così non perde tempo di produzione. Qui c’è sia un interesse che un vantaggio.
  2. L’azienda non fa installare le fotocellule perché sono scomode ai manutentori e fanno perdere tempo, oppure elude le protezioni per accelerare i setup. Anche qui abbiamo interesse + vantaggio.

Tutto chiaro?

Il sistema sanzionatorio legato alla 231/2001

Vediamo ora il sistema sanzionatorio legato alla 231/2001.

Quali tipologie di sanzioni prevede il decreto 231/2001?

Con la norma 231, all’azienda viene attribuita una responsabilità indipendente da quella del datore di lavoro, responsabilità che viene espressa con una logica di quote/sanzione.

Negli infortuni sul lavoro e negli omicidi colposi con violazione delle normative antinfortunistiche il rischio sanzione può arrivare fino a 1.000 quote/sanzione – che, tradotto in soldini, significa fino a un milione e mezzo di euro di sanzione amministrativa. Parliamo quindi di una responsabilità penale che produce (principalmente) sanzioni pecuniarie.

Nello specifico, le quote sanzione sono espresse secondo standard di minimo e di massimo, e vanno da 256 euro a 1586 euro – i numeri sono “strani” perché hanno fatto una traduzione dalle lire agli euro. Se prendiamo il rischio massimo (1.000 quote sanzione) e lo moltiplichiamo per il valore massimo della sanzione (1.586 euro) arriviamo appunto a 1.536.000 euro.

Ovviamente questo può accadere nei casi più gravi, quelli di omicidio colposo. Se parliamo invece di infortuni “normali” si arriva fino a 250 quote/sanzione. Facciamo il calcolo:

250×1536 = 384.000 €

Insomma, parliamo sempre di bei soldi!

Cos’è il modello organizzativo di gestione e controllo (MOG)?

Il MOG è lo strumento attraverso cui l’azienda rende evidenza di aver adottato (ed efficacemente attuato) le procedure di sicurezza che possono portare all’esclusione della responsabilità delle persone giuridiche.

Da dove si ricavano le regole che, se adottate, esimono gli enti dalla responsabilità? Dal famoso articolo 3 dell’81/2008.

Quando in un’azienda succede un infortunio, arriva puntualmente la lettera dell’ATS/ASL/USL (il nome cambia a seconda della regione) che chiede: avete il MOG?

Il MOG serve per capire se in azienda c’era un servizio di prevenzione e protezione organizzato e se i vari livelli aziendali nell’organigramma erano stati formati, insomma se a livello organizzativo l’azienda era strutturata in modo tale da gestire la sicurezza in modo stratificato. In pratica è un manuale sull’organizzazione della sicurezza in azienda.

Per dirla con una bella immagine di Rinaldo Sandri:

Le regole di sicurezza sono come la patente di guida. Il modello organizzativo è il corso di guida sicura.

Il modello organizzativo 231 (MOG) è obbligatorio?

Non è obbligatorio avere il modello organizzativo di gestione e controllo. È però anche vero che, se non ce l’hai, in qualche modo stai accettando un rischio.

Diciamola in un altro modo. Tu potresti aver gestito la sicurezza in piena conformità alle regole, ma l’unico modo di dimostrare che l’hai fatto (e che hai mantenuto la sicurezza nel tempo) è creare il MOG.

Redigere il modello organizzativo dopo l’infortunio

Anche se non è sicuramente la scelta consigliata, bisogna sapere che esiste la possibilità di redigere il modello organizzativo anche dopo l’infortunio. Nel linguaggio giuridico si parla, in questo caso, di MOG riparatorio – anche se io preferisco chiamarlo “tardivo”, come le vendemmie.

A cosa serve questa operazione? Beh, a mettere una pezza. Andare a conformarsi – per quanto tardivamente – permette infatti di accedere ad un’attenuante, grazie alla quale la sanzione può essere ridotta fino al 50%. Capiamo bene che, quando si parla di soldi, risparmiare il 50% sulla multa può essere salvifico!

Creare il MOG a posteriori non è equivalente ad un’ammissione di colpa perché, ricordiamolo, il MOG non è obbligatorio. È, per così dire, un segnale di buona condotta, come a dire che l’infortunio è stato uno spunto per migliorare l’organizzazione aziendale.

Che cos’è l’organismo di vigilanza citato nel decreto 231? A cosa serve? Chi lo nomina?

L’organo di vigilanza previsto dal decreto 231/2001 è un organismo che controlla l’applicazione del MOG. Non sono richieste competenze specifiche per far parte dell’organo di vigilanza, quindi le aziende andranno a selezionarlo sulla base di valutazioni contingenti e dell’organizzazione interna.

Per le piccole e medie imprese ci sono delle deroghe, tanto che potrebbe essere addirittura il datore di lavoro ad assumere questo ruolo. Certo, non ha molto senso, ma la legge lo consente.

Nello spirito della legge, l’organo di vigilanza dovrebbe essere autonomo e indipendente per controllare che le regole di prevenzione del rischio vengano applicate correttamente, quindi è un po’ il metronomo della sicurezza aziendale.

Chi nomina l’organismo di vigilanza? L’organo amministrativo, quindi il datore di lavoro, il consiglio d’amministrazione o l’assemblea dei soci.

L’organismo di vigilanza può essere monocratico (una persona) o collegiale. Esistono appunto organismi collegiali e più formali con un presidente e vari membri, ma anche organismi meno formali monocratici in cui spesso viene nominata una persona esterna all’azienda – spesso un avvocato, un commercialista o un ingegnere, a seconda del core business dell’azienda.

L’autonomia e l’efficienza dell’organismo di vigilanza sono chiaramente parametri su cui il PM e il giudice valutano l’efficace attuazione del modello di organizzazione e gestione. Ecco che, se un’azienda ha un organismo di controllo farlocco, sarà comunque censurabile con la 231/2001.

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Il dovere sanzionatorio nel decreto 231: perché funziona poco

Già nello Statuto dei Lavoratori e nei contratti collettivi nazionali si parla di sanzioni per i lavoratori che non rispettano le norme sulla sicurezza, con un perimetro che va dalla multa al licenziamento.

Il sistema sanzionatorio previsto nel d.lgs 231 ha lo stesso approccio, ma prevede un percorso un po’ diverso: l’organismo di vigilanza riceve una segnalazione, fa un’indagine sulla segnalazione e poi propone all’amministratore o al consiglio di amministrazione di irrogare una sanzione. Il focus qui è uno soltanto: i comportamenti non conformi vanno contestati e disciplinati formalmente.

Questa è la teoria, nella pratica però pochissimi lo fanno. Sarà forse che le imprese italiane non amano sgridare i propri dipendenti – o meglio, magari li sgridano ma non lo mettono per iscritto. Eppure, se poi capita di andare a processo, la sanzione disciplinare diventa uno strumento di gestione dell’infortunio, una cristallizzazione delle colpe.

Certo, usare solo il bastone non è esattamente la strategia migliore nella gestione del personale. Io infatti ai miei clienti suggerisco di usare anche la carota e creare dei premi per chi si comporta bene, per i reparti che seguono correttamente tutte le procedure (encomi, premi in busta paga o altro). Insomma, da un lato disciplinare per la sicurezza di tutti, ma dall’altro valorizzare le differenze e i buoni comportamenti.

Le procedure di controllo nel d.lgsl 231 del 2001

L’articolo 30 del decreto 231 individua una serie di indicatori di rischio da dover gestire, da cui andranno sviluppate le procedure operative. Quindi, ad esempio, se si parla di conformità delle attrezzature, bisognerà andare a scrivere nel MOG come viene verificata la conformità delle macchine.

La tipica procedura che tutti utilizzano e che va messa dentro il MOG è quella di gestione dei DPI. Dai le scarpe antinfortunistiche ai tuoi dipendenti? Gli fai dichiarare e firmare che le hanno ricevute nella tal data e che non ci sono state osservazioni particolari; poi magari determini ogni quanto il preposto andrà a controllare che vengano indossate e lo fai a sua volta firmare ogni tot tempo.

Le procedure servono nell’ambito della sicurezza perché vanno a creare un’operazione ripetibile, sempre uguale e quindi migliorabile. Per far funzionare tutto le persone devono essere sostituibili, devono esistere procedure ben definite per assicurare che Luca, Marco e Antonio che assumo domani, usino le macchine sempre nello stesso modo.

E con questo ci siamo, spero di averti fornito una panoramica completa del decreto 231 del 2001. Se hai domande ti invito a lasciarmi un commento qui sotto, oppure a scrivermi a questo indirizzo.

Buon lavoro!

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