Come funziona un processo civile? L’ABC per inesperti

Vediamo quali sono i principi fondamentali

Ehi, ma questo non era un blog dedicato alla sicurezza e ai macchinari? Cosa c’entrano i processi?

Sì, lo so, se mi segui da un po’ forse ti stai facendo questa domanda. Ma se hai letto alcuni dei miei articoli o dei miei libri conosci bene anche uno dei miei mantra: per quante misure di sicurezza si possano attivare, gli incidenti capitano. E, con gli incidenti (o infortuni) spesso partono i processi, civili o penali.

Questo è il primo motivo per cui ho pensato di dedicare un articolo al funzionamento dei procedimenti giudiziari: dare un’infarinatura generale anche a chi di legge e processi non è proprio un esperto, per non farti trovare totalmente impreparato.

L’altra ragione è legata al fatto che spesso i colleghi – periti ingegneri che si occupano di sicurezza e macchinari – mi chiedono informazioni su come fare il consulente tecnico di parte (o anche il consulente tecnico d’ufficio) nei processi. Visto che ho ormai qualche anno di esperienza come consulente tecnico di parte, due master in Ingegneria Forense e vari corsi di formazione sulle spalle, ho deciso di dedicare una serie di articoli proprio a questo aspetto della nostra professione.

Naturalmente per svolgere il ruolo di consulente tecnico di parte o d’ufficio bisogna sapere come funzionano i processi, ed eccoci quindi alla seconda ragione.

Ma ora bando alle ciance ed entriamo nel vivo del nostro argomento!

I principi fondamentali del processo

Iniziamo provando a definire cos’è il processo. Il vocabolario Treccani ci dice che:

Nel linguaggio giuridico, [il processo è il] complesso delle attività e delle forme mediante le quali vengono risolte le controversie tra due soggetti da un terzo imparziale e disinteressato (il giudice), oltre che dotato del potere effettivo di imporre con autorità alle parti l’accettazione della sua sentenza.

In questa definizione troviamo gli elementi fondamentali del processo: abbiamo due parti in disaccordo che si rivolgono a un giudice per far ristabilire l’ordine e applicare la legge.

L’articolo 111 della Costituzione stabilisce poi i principi del giusto processo, che avviene quando:

  • Il processo è disciplinato dalla legge
  • Il processo si svolge nel contraddittorio tra le parti
  • Il giudice è terzo e imparziale
  • Il processo ha una ragionevole durata

Su alcuni di questi principi (imparzialità del giudice e contraddittorio) apriremo delle parentesi tra poco.

Gli altri elementi che vedremo sono il principio dell’onere della prova e il principio dispositivo, quello che di fatto “limita il potere” del giudice.

Approfondiamo ora questi aspetti…

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Principio di terzietà e imparzialità del giudice

Come puoi immaginare, la sentenza di un processo può essere equilibrata e bilanciata solo se il giudice è effettivamente imparziale.

Ma come si assicura l’imparzialità del giudice?

Innanzitutto il giudice deve essere terzo rispetto alle parti, quindi non deve conoscere a priori l’oggetto della causa, gli interessi delle parti o anche gli argomenti portati dalle parti.

Supponiamo infatti che il giudice conosca le prove a disposizione o che abbia una conoscenza personale con una delle parti in causa. Come potrebbe evitare condizionamenti?

Anche perché, come sappiamo, il diritto è unico, ma l’applicazione del diritto, la sua interpretazione, è sicuramente influenzata da una componente soggettiva e quindi varia di caso in caso.

Il giudice quindi non può essere una delle parti, ma non può nemmeno essere un testimone. Ad esempio, se un giudice assiste ad un incidente stradale non potrà poi svolgere il ruolo di giudice nel processo!

Il giudice deve invece apprendere “la narrazione” della vicenda attraverso i fatti che gli sottopongono le parti, tramite il racconto che viene sottoposto dalle parti. E la sua decisione si deve basare esclusivamente su questo racconto, su questa “verità processuale”.

L’imparzialità del giudice ha infine, diciamo, due connotazioni: una soggettiva e una oggettiva.

  • Imparzialità soggettiva significa che il giudice non dovrebbe avere preconcetti, non dovrebbe avere interessi personali nell’esito della causa e non dovrebbe avere nemmeno relazioni di parentela, amicizia o inimicizia con gli imputati (o gli avvocati di parte…)
  • Imparzialità oggettiva significa invece che il giudice non deve avere pregiudizi in merito al caso che è chiamato a giudicare. Per esempio non deve aver partecipato al giudizio del caso in una fase precedente del procedimento e non deve avere espresso giudizi sul caso – o su casi simili.

Se, ad esempio, un giudice si fosse espresso su un caso simile in precedenza tramite un’intervista, le parti potrebbero chiedere la ricusazione (sostituzione) del giudice per mancata imparzialità.

I principi fondamentali di un processo

Principio del contraddittorio

Il contraddittorio, nell’ambito giuridico, indica la possibilità che due o più parti in conflitto possano confrontarsi per far valere le proprie ragioni.

Detto in altri termini, il contraddittorio dà la possibilità a un soggetto di “contraddire” la parte avversa per cercare di difendersi o sostenere la propria tesi.

Il principio del contraddittorio si basa quindi sul diritto di difesa, perché nessuno può essere giudicato senza avere la possibilità di prendere parte al processo. Di conseguenza nessuno può essere giudicato in sua assenza, senza aver ricevuto una citazione del tribunale e così via.

Questo contraddittorio, ovvero questo confronto tra le parti, deve avvenire in condizioni di par condicio. Ad ogni parte è riconosciuta la possibilità di difendersi o far valere i propri interessi in tribunale e ogni parte deve essere valutata allo stesso modo.

Principio dispositivo

Il principio dispositivo è sancito dall’articolo 115 del Codice di Procedura Civile, e afferma che:

Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita. Il giudice può tuttavia, senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza.

Andiamo ad interpretare questo concetto.

Il primo e fondamentale concetto che emerge dalla definizione è questo: il giudice può basare la propria decisione solo ed esclusivamente sugli elementi introdotti dalle parti. Come dicevamo prima, la sentenza si deve basare quindi sulla narrazione emersa all’interno del tribunale, non su pregiudizi o fonti esterne.

Le parti portano quindi degli elementi di prova a sostegno delle rispettive tesi. Il giudice potrà sì richiedere di ampliare i capi di prova o porre delle domande, ma il suo potere è comunque limitato dalla normativa e non può usare elementi di prova proposti da lui stesso o da altri soggetti non citati in giudizio.

Altro importante elemento che emerge nell’articolo 115: i fatti non contestati si danno per riconosciuti. Quindi se una delle parti non contesta un elemento, questo diventa automaticamente una prova. La parte che propone un fatto non contestato è addirittura dispensata dall’onere di prova.

L’ultima parte della definizione riguarda le “nozioni che rientrano nella comune esperienza”. In pratica il giudice deve sì limitarsi all’oggetto della contesa e basare la sentenza su ciò che le parti hanno dedotto o provato, ma può ovviamente fare appello alle conoscenze di senso comune.

Diciamo ad esempio che c’è una contesa tra vicini legata ad un’infiltrazione d’acqua. Il giudice ovviamente sa, perché è conoscenza comune, che le infiltrazioni possono causare muffa, rovinare il muro o provocare anche dei cedimenti strutturali. Nel caso però in cui debba decidere se una certa infiltrazione è stata causa del cedimento di un muro potrebbe rivolgersi ad un CTU (consulente tecnico d’ufficio) che abbia competenze specifiche.

Se il perito nominato dal giudice assume il ruolo di CTU percipiente, la consulenza tecnica che produce ha valore di prova, quindi rientra a pieno titolo nei fatti che verranno considerati per emettere la sentenza.

Se invece il consulente tecnico assume l’incarico di CTU deducente, la sua attività sarà rivolta a valutare le prove già presentate o i fatti non contestati.

Principio dell’onere della prova

Questo principio attesta che, all’interno di un procedimento giudiziario, l’onere di provare un fatto ricade sul soggetto che invoca tale fatto a sostegno della propria tesi.

Per capirci: se il signor Mario Rossi porta in giudizio Alberto Bianchi per reclamare che quest’ultimo non ha rispettato un contratto stipulato tra i due, sarà Mario Rossi a dover dimostrare che tale contratto è stato effettivamente stipulato. Se il signor Bianchi si difende sostenendo che il contratto è stato annullato, sarà lui a dover produrre elementi a sostegno della sua tesi.

Fin qui tutto facile. Ora però caliamo questo esempio in un ambito che conosciamo bene: la contestazione di un macchinario industriale.

Il cliente compra un macchinario con la promessa che la macchina fa 5 cose diverse, invece ne fa solo una. Il cliente si arrabbia e rifiuta di pagare. Il fornitore si infuria anche lui, e dice che il cliente deve pagare (rifacendosi al contratto di vendita e al fatto che la macchina è stata consegnata).

Il fornitore a questo punto fa ingiunzione di pagamento sulla base del contratto di vendita. Il cliente, sempre più offeso, dice: “Col c***o che ti pago” e si oppone, dicendo che la macchina non rispetta il contratto.

Su chi ricade l’onere della prova, in questo caso?

In realtà su entrambi. Il fornitore deve avere delle prove per fare l’ingiunzione di pagamento (e usa il contratto). Il cliente contesta il macchinario basandosi sul fatto che la macchina non rispetta le condizioni del contratto – e, spesso, prova a contestare il rispetto delle regole europee sulla sicurezza.

Come vedi, l’onere della prova è un concetto un po’ più complicato nella realtà dei fatti. Ma andiamo avanti.

L’onere della prova non può essere invertito, non può ricadere sulla controparte. Eventuali patti o accordi che lo prevedono (es. contratti capestro di vario genere) sono da considerarsi illegittimi. Vi sono inoltre diritti inalienabili a cui le parti non possono rinunciare, ad esempio il diritto alla salute. Se un accordo prevede la rinuncia di tali diritti è da considerarsi illegittimo.

L’unica eccezione all’onere della prova si ha in caso di cosiddette “prove diaboliche”, ovvero quasi impossibili da dimostrare. Se la richiesta di prova diventa eccessiva e quasi impossibile da espletare, la legge va a limitare o ribaltare l’onere della prova.

Un esempio tipico si ha con il diritto di proprietà nel caso in cui un soggetto intenti una rivendicazione. Al proprietario non basterebbe presentare il titolo d’acquisto (ad esempio il contratto di compravendita) ma dovrebbe risalire a chi ha acquistato la proprietà a titolo originario. Poiché questo è molto complicato, spesso si ricorre all’istituto dell’usucapione: se sono trascorsi un certo numero di anni, si considera la proprietà come acquisita a titolo originario.

Per provare un elemento, quindi per sostenere una determinata tesi, le parti devono dimostrare che i fatti siano fondati dal punto di vista del diritto e dal punto di vista fattuale. In pratica si deve dimostrare che esiste una copertura giuridica (una norma o un richiamo normativo) ma anche quali sono gli elementi che, nella realtà, dimostrano la violazione di una certa norma. Tali elementi possono essere di varia natura: documenti, testimonianze o anche perizie.

Ovviamente l’onere della prova spetterà in prima battuta alla parte ricorrente, quella che richiama l’attenzione del giudice perché ritiene che un suo diritto sia stato violato. Chi chiama in causa, insomma, deve avere elementi per sostenere la sua tesi.

La parte ricorrente avrà quindi l’onere di portare al giudice le prove a sostegno del suo punto di vista, mentre la controparte – detta parte resistente – tenterà soprattutto di eccepire e smontare le prove del ricorrente tramite prove contrarie. Questo, naturalmente, in linea generale, perché in taluni casi il giudice può modificare l’ordine di acquisizione delle prove e incaricare la parte avversa di produrre una certa prova (ad esempio un determinato documento).

Ok, questa era una primissima introduzione su quelli che sono i principi base che regolano un processo.

Se ti interessa capire come si inserisce in questa dinamica la figura del consulente tecnico, ti invito a leggere gli altri articoli dedicati al CTU e al CTP.

Se invece sei un datore di lavoro e vuoi farti un’idea di come funziona un processo in caso di infortunio, dai un’occhiata a questo articolo: Processo penale per infortunio sul lavoro: quali sono le strategie difensive per il datore di lavoro?

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