Processo penale per infortunio sul lavoro: quali sono le strategie difensive per il datore di lavoro?

Forse non tutti lo sanno, ma una parte della mia vita professionale si svolge a stretto contatto con i tribunali.

Spesso, infatti, sono chiamato come perito di parte nelle cause di infortuni sul lavoro – ho anche un master in ingegneria foreste, ma questa è un’altra storia.

Lavorando, è così che ho conosciuto Rinaldo Sandri, un avvocato specializzato in “penale bianco” che si occupa di infortuni sul lavoro e rappresenta datori di lavoro e RSPP. Qualche tempo fa ci siamo fatti una chiacchierata da cui è nato questo articolo.

Quando scatta la denuncia penale in caso di infortunio?

Non sempre il processo per infortunio parte quando c’è stata una mancanza del datore di lavoro, una negligenza. L’operatore potrebbe anche infortunarsi perché ha fatto un errore non facilmente prevedibile che comunque fa scattare il processo.

Molti datori ricevono la notifica del procedimento con sorpresa. Eh sì, perché quando c’è l’infortunio si pensa prima alla persona che si è fatta male, poi a sistemare l’attrezzatura di lavoro… e infine va tutto nel dimenticatoio.

Però intanto si chiudono le indagini preliminari e l’ATS (o lo S.PRE.S.A.L. o lo U.O.P.S.A.L.) consegna il materiale al Pubblico Ministero, il quale manda al datore di lavoro – e spesso anche all’RSPP – una bella letterina in carta verde che dice “questa è la chiusura delle indagini”.

Che fare a quel punto? Lo chiediamo a Rinaldo.

Rinaldo Sandri: “Dunque, abbiamo detto che il PM chiude le indagini preliminari. Lo fa seguendo l’articolo 415 bis del Codice di Procedura Penale e va a cristallizzare il capo d’imputazione, il quale può essere molto diverso a seconda della procedura che il Pubblico Ministero vorrà utilizzare.

Partiamo da un dato: le violazioni antinfortunistiche sono una condizione necessaria per la procedibilità dell’azione penale.

Inoltre l’infortunio sul lavoro, come tutti sanno, è procedibile d’ufficio a condizione che integri delle lesioni personali colpose gravi, ovvero prognosi superiore ai 40 giorni o indebolimento permanente di un senso o di un organo. Se l’infortunio ha queste caratteristiche ed è casualmente collegato ad una violazione antinfortunistica, raggiunge le condizioni di procedibilità”.

Qui aggiungo una precisazione. Non in tutti i casi i 40 giorni di prognosi vengono dati subito: a volte i termini vengono allungati dai medici “in corso” e si arriva alla fine ad un totale di 40. Facciamo un esempio. All’infortunato vengono dati 20 giorni subito, poi altri 10 e ancora altri 10 fino ad arrivare a 40.

Se l’incidente comporta un danno biologico non hai scampo. Non parlo necessariamente di danni biologici gravissimi – nel qual caso il procedimento penale parte d’ufficio. Potrebbe trattarsi anche di un braccio rotto o di un pezzetto di falangetta persa nell’incidente.

In tutti questi casi arriva la letterina del PM, che dice più meno: “Caro Tizio Caio, nel 2016 si è fatto male il tuo dipendente Paolo Rossi – c’è una breve storia di come si è fatto male – e per questi motivi ti citiamo, ti diamo l’imputazione” (+ vengono citati gli articoli del D.Lgs. 81/08).

Il capo d’imputazione e i profili di responsabilità per persone fisiche e giuridiche

Proviamo ora a capire, con l’aiuto di Rinaldo, come può essere costituito un capo d’imputazione.

Avv. Rinaldo Sandri: “Facciamo un esempio. Al datore di lavoro Tizio viene attribuita la responsabilità della violazione di cui all’articolo 590 per colpa rappresentata da imprudenza, imperizia, negligenza e per la violazione delle norme antinfortunistiche, che ha prodotto o ha contribuito a causare le lesioni personali a Sempronio per logica di comportamento doveroso omesso. Le lesioni, come abbiamo detto, devono essere quanto meno gravi, ma possono anche essere gravissime e arrivare al caso dell’omicidio colposo, che ha la stessa struttura d’imputazione ma con sanzioni chiaramente più importanti.

C’è poi un altro tema importante, ovvero il profilo di responsabilità delle persone giuridiche. Potrebbe essere che nella famosa busta verde – mandata al datore di lavoro, al dirigente, al preposto o in alcuni casi, addirittura a un lavoratore – ci sia anche un capo d’imputazione per la violazione dell’articolo 25 septies, quello che viene tirato in causa quando l’evento rende evidente il fatto che le violazioni antinfortunistiche sono state commesse a vantaggio di una persona giuridica (l’azienda).

In questi casi ci troviamo ad affrontare un procedimento penale con due imputazioni e ragionevolmente, con due avvocati diversi”.

Le due imputazioni possono essere rivolte alla stessa persona? La risposta è complessa. No, in teoria… ma poi la pratica è un altro paio di maniche.

Ecco cosa intendo dire. Dal punto di vista legale, se c’è corrispondenza tra amministratore/datore di lavoro e legale rappresentante dell’azienda, l’amministratore deve individuare un soggetto terzo che sia destinatario della procura speciale per costituire il difensore della persona giuridica. E fin qui va bene.

Il tessuto imprenditoriale italiano vede però molto spesso una sovrapposizione tra imprenditore e azienda. Lui è l’amministratore unico, il socio unico: lui è l’azienda. In questo contesto, una doppia imputazione viene percepita come una vera aggressione e bisogna riconoscere che è parecchio complicata da gestire.

Leggi anche: Cosa fare in caso di infortunio sul lavoro

Costruire il team della difesa

Apro questo punto raccontando la mia esperienza, quello che vedo succedere di solito nelle aziende.

Arriva la famosa letterina. L’amministratore capisce che no, il processo penale non si è chiuso sistemando la macchina e si arrabbia con l’avvocato. A questo punto io vengo chiamato come perito per stendere la mia relazione, in cui chiaramente c’è una tesi difensiva dal punto di vista della conformità della macchina.

È chiaro però che io non sono un avvocato, così come l’avvocato non è un perito. Bisogna lavorare insieme, in sinergia, per portare a casa il risultato.

Ovviamente, parlando di periti, io non posso che consigliarti qualcuno che abbia larga esperienza in materia e che abbia anche già lavorato in situazioni del genere, nei processi. Qualcuno che sappia come funzionano i procedimenti e i tribunali, insomma.

Anche per l’avvocato la parola chiave è specializzazione… e non mi riferisco solo alla distinzione tra civilista e penalista. Quasi sempre le aziende hanno un professionista di riferimento, esperto in diritto civile, che si occupa di tutto ciò che è recupero crediti o della gestione societaria sotto mille profili. Forse però costui non è abituato a gestire infortuni sul lavoro, e la differenza si vede.

Avv. Rinaldo Sandri: “Mettiamola così: è un po’ come se uno si rompesse una gamba e andasse dal ginecologo. Si tratta sempre di medici, ma evidentemente tra ginecologo e ortopedico c’è una bella differenza!

Qui è lo stesso. Un civilista (ma anche un penalista generalista) non sempre ha l’abitudine a ragionare dal punto di vista tecnico sui profili di colpa che sono addebitati al datore di lavoro. Io ho costruito negli anni una competenza specifica proprio perché mi sono reso conto che non basta essere avvocato, bisogna essere un avvocato competente anche su Direttiva macchine e Dlgs 81. Per dire, io prima di incominciare a fare quello che sto facendo mi sono fatto il modulo A, B e C da RSPP, sono tecnico ambientale e tecnico alimentare, esperto di sicurezza delle macchine e auditor dei sistemi di gestione della sicurezza.

Ecco che allora il team di difesa ‘ideale’ comprende persone come Claudio Delaini che hanno competenza specifica sulle macchine e un avvocato che abbia, come dire, l’abitudine a ragionare sulla colpa, perché la difesa sugli infortuni passa fondamentalmente attraverso la verifica della sussistenza o meno dei profili di colpa che vengono addebitati al datore di lavoro”.

Costruire la difesa con avvocato Rinaldo Sandri, e ingegnere Claudio Delaini

Diritti e tempi della difesa

Dal punto di vista formale, la chiusura delle indagini preliminari dà agli indagati la possibilità di esercitare tutta una serie di diritti… e qui si entra nell’ambito della strategia di difesa.

Entro 20 giorni dalla chiusura delle indagini la difesa può depositare delle memorie e chiedere un interrogatorio. Le memorie si costituiscono eventualmente di un supporto tecnico, ad esempio la perizia di parte. L’interrogatorio è il momento nel quale il datore di lavoro può andare a presentare al PM gli elementi di difesa che ritiene utili per la sua posizione.

Avv. Rinaldo Sandri: “Per esperienza posso dire che i diritti collegati alla chiusura delle indagini preliminari sì sono molto ‘affievoliti’. A volte la strategia migliore consiste nel subire passivamente la chiusura delle indagini preliminari per preparare una strategia più raffinata con il tempo. Dalla chiusura delle indagini preliminari all’inizio del procedimento penale passa infatti un certo quantitativo di tempo che formalmente è definito ma nei fatti è indefinito, perché ogni procura ha i suoi tempi”.

Questo è un punto importante: ogni procura ha i suoi tempi. Sappiamo però che dal decreto di citazione a giudizio (che è l’atto successivo all’avviso di chiusura delle indagini preliminari) per i reati a citazione diretta passano almeno 60 giorni fino alla data l’udienza preliminare. In caso di omicidio colposo sono almeno 30 giorni.

Questo è il momento in cui si definisce bene la strategia difensiva e si capisce se ci si può difendere e come. In alcuni casi si potrebbe anche decidere, infatti, di non affrontare il processo.

Il risarcimento e i rapporti con l’assicurazione

Prima di addentrarci nelle varie opzioni di procedimento, chiariamo una cosa: il processo per infortunio o per omicidio colposo si affronta dopo aver risarcito il danno.

Al di là che il datore di lavoro pensi di essere responsabile o no, deve comunque entrare nell’ottica del risarcimento (anche, come dice giustamente Rinaldo, per adempiere a un dovere morale). Questo è un passaggio che gli imprenditori faticano a digerire, ma così stanno le cose.

Avv. Rinaldo Sandri: “Il risarcimento va previsto e non produce riconoscimento di responsabilità. Siamo nell’ambito di un reato colposo quindi non c’è la volontà di produrre un evento, o meglio non c’è la volontà di produrre un comportamento che sia causa dell’evento, ma semplicemente l’evento si è verificato per imprudenza, imperizia e negligenza o perché si è violata una norma di legge. Risarcire il danno vuol dire semplicemente accettare il dovere morale da imprenditori”.

Qui si apre però un altro tasto dolente: i rapporti con le assicurazioni, che non sempre si comportano da “alleate”. Ecco perché bisogna fare molta attenzione a quello che gli si dice quando si parla con loro…

In ogni caso, mentre rispetto al processo bisogna essere pronti a difendersi, con l’assicurazione bisogna essere chiari. Bisogna dirgli che sì, c’è una responsabilità del datore di lavoro o dell’azienda, che poi è quella cristallizzata nel capo d’imputazione.

Ok, ma come si calcola il risarcimento del danno? Come ci si muove tra tabelle Inail e danno differenziale?

Lascio la parola a Rinaldo Sandri, che è un vero appassionato di questo tema.

Allora, diciamo che c’è stato un danno che corrisponde alla lesione della capacità fisica totale di una persona. Faccio un esempio: l’amputazione di un dito produce un danno biologico permanente sia nella logica civilistica che penalistica. Questo danno comporta una riduzione del 6-7 % della capacità fisica totale dell’individuo.

L’Inail lavora sulla base di una norma che definisce un livello di franchigia fino al 4% (per cui tutti i danni biologici fino al 4% non vengono risarciti) ma produce la disponibilità del risarcimento del danno biologico temporaneo. Quindi il danno biologico permanente viene risarcito sopra il 6% pro quota in funzione delle tabelle legislative. Il risultato è che nella valorizzazione complessiva del danno ne manca un pezzo, che è quello che rientra nella disponibilità diretta del datore di lavoro, cioè quello che tecnicamente si chiama danno differenziale.

In altre parole, l’Inail provvederà a risarcire una quota (circa il 50-60% del complessivo), la restante parte è responsabilità del datore di lavoro con una logica di risarcimento diretto ed immediato. Se poi emergesse una responsabilità penale del datore di lavoro, l’Inail farà rivalsa per ottenere l’altra parte della quota. Insomma l’Inail, in quanto assicurazione dei lavoratori, anticipa una somma che poi eventualmente chiederà al datore di lavoro in caso la sentenza gli riconoscesse la responsabilità penale dell’infortunio”.

Diciamo però che a volte la letterina con la richiesta di rivalsa arriva prima della sentenza… ma, come ci dice Rinaldo, si tratta di una procedura automatica.

“Ci sono anche alcune aree del territorio nazionale in cui l’Inail si costituisce nel procedimento penale per chiedere direttamente al giudice la rivalsa. Capita però molto di rado. Considera che l’Inail è uno dei soggetti destinatari delle notifiche verso cui il PM deve fare segnalazione quando emette il decreto di citazione a giudizio, quindi a quel punto può scegliere se costituirsi nel procedimento penale contro il datore di lavoro”.

Dal punto di vista strategico è assolutamente meglio affrontare i processi senza avere come parti l’Inail e la persona infortunata… e qui ci ricolleghiamo al risarcimento. Se la vittima è “soddisfatta” non sporgerà querela, non si costituirà come parte ed è quindi anche più facile che l’Inail non prenda direttamente parte al processo.

Ok, ora andiamo a vedere le opzioni che abbiamo sul piatto. Se affrontiamo il procedimento ci sono due strade: rito ordinario e rito abbreviato. Ma abbiamo anche una terza via: il patteggiamento (o la messa alla prova).

Rito ordinario, rito abbreviato, patteggiamento e MAP. Come funziona e come scegliere la strada migliore

Patteggiamento e messa alla prova

Partiamo da qui: il patteggiamento può essere un valido strumento di difesa. In certe situazioni il datore di lavoro, il dirigente o il preposto non ha troppo spazio di manovra e allora a quel punto per opportunità e per scelte processuali si può patteggiare.

Sai qual è la condizione necessaria per accedere al patteggiamento? Avere risarcito il danno. Vedi come torna tutto?

Come funziona il patteggiamento? Beh, prima si trova un accordo col Pubblico Ministero, poi l’accordo viene presentato al giudice, che fa da arbitro e procede ad una valutazione dell’accordo.

A partire dalla “pena base” ci saranno tutta una serie di elementi che andranno a diminuirla fino ad un terzo, tra cui l’attenuante del danno risarcito, le eventuali attenuanti generiche e la riduzione della pena per via del rito.

Un’altra opzione vicina al patteggiamento è la messa alla prova, quella che tutti chiamano MAP. La messa alla prova è uno strumento deflattivo che è disponibile una volta nella vita e che ha comunque come prerequisito quello del risarcimento dei danni.

In pratica con la MAP si fa un accordo con un ente per andare a fare lavori di pubblica utilità, si chiede al giudice di valutare questa possibilità e, se il giudice la ammette, si definisce bene il percorso e il periodo di tempo, sospendendo il procedimento fino alla verifica finale.

Una volta che sono terminati i lavori nel periodo previsto, il giudice fa una nuova udienza all’esito della quale dichiara l’estinzione del reato per messa alla prova. Il reato non rimarrà sul casellario giudiziale, si considera assolutamente tutto cancellato come se non ci fosse mai stato. Ripeto, si tratta di una soluzione che si può usare solo una volta nella vita.

Rinaldo Sandri: “In generale si usa di più il patteggiamento, ma anche la MAP può essere una soluzione. Qualche anno fa un imprenditore importante con cui stavo lavorando scelse la messa alla prova anche se aveva spazio di difesa, perché non aveva la voglia e il tempo di gestire il procedimento penale – che, diciamocelo, è un bell’impegno”.

Rito abbreviato e rito ordinario

E se invece vogliamo affrontare il processo? Bene, ci sono due soluzioni di gestione del procedimento: il rito abbreviato e il rito ordinario. Per capire la differenza vado a sintetizzare le preziose informazioni che ci ha fornito Rinaldo.

Il rito abbreviato è un giudizio deflattivo dove l’imputato sceglie di essere giudicato sulla base degli atti di indagine. In questo caso il giudice non sa niente del procedimento, perché il fascicolo del dibattimento è completamente vuoto, salvo gli atti che la legge prevede.

Di fatto si tratta di un procedimento orale accusatorio dove la prova si forma in dibattimento: da una parte c’è il PM e dall’altra la difesa, ed entrambe offrono al giudice delle allegazioni (tra cui il fascicolo delle indagini preliminari) sulla base delle quali il giudice procederà con la sentenza.

Da qualche anno si può accedere anche al giudizio abbreviato condizionato, in cui il difensore può mettere nel fascicolo del giudice tutta una serie di documenti, di allegazioni. In questo caso si può inserire anche l’esame del consulente, del perito, oppure si può condizionare all’esame di determinati testimoni.

Un grosso beneficio del rito abbreviato è che, in caso di condanna, la pena viene ridotta di un terzo. Ma ce ne sono anche altri…

Rinaldo Sandri: “Diciamolo a bassa voce, ma io uso sempre più spesso il rito abbreviato perché le ATS sono abituate a cercare elementi di colpa, non cause. Questo ci dà la possibilità di costruire dei giudizi controfattuali che ci permettono di dimostrare che i profili di colpa sono insussistenti e/o non sono addebitabili a chi è l’imputato in quel momento. Inoltre l’abbreviato è uno strumento interessante anche perché permette di cristallizzare l’imputazione. Con il rito ordinario, invece, il capo d’imputazione può essere cambiato nel corso del processo penale”.

Eh sì, perché si presenta anche questa situazione. Spesso l’accusa non ha molto tempo, il PM e l’ATS non si coordinano bene oppure banalmente l’ATS ragiona in ottica di colpa e non di causa, come si diceva. Il risultato è che arriva un capo d’imputazione che non è adatto e che quindi agevola l’imputato perché si può dimostrare che le rimostranze dell’accusa non sono adeguate… e in quel caso la difesa stappa lo champagne.

Attenzione, questo non vuol dire che il cliente non abbia sbagliato. Ma magari non gli viene contestato quell’errore, gli viene contestato qualcos’altro. In questo caso l’abbreviato è sicuramente la soluzione migliore perché mette il Pubblico Ministero nell’impossibilità di modificare il capo di imputazione.

Entriamo però nella situazione “normale”, più comune. Arriva la lettera di imputazione. Si fa una riunione con avvocato, perito, imputato (e spesso anche tecnici dell’azienda), si ricostruisce la dinamica dell’evento e l’accusa, si crea una strategia per confutare l’accusa.

Chiariamo, qui non devi andare a dire la tua verità. La difesa non deve andare a dimostrare chi ha ragione, la difesa ha il compito di contenere il danno e possibilmente assolvere l’imputato.

Si decide dunque di proseguire con il rito ordinario.

Nel giudizio ordinario il Pubblico Ministero offre le sue prove, e bisogna dire che a volte questo è un vantaggio perché l’ATS è bravissima a scrivere ma pessima a raccontare – anche perché di base non viene messa in condizione di farlo, non si prepara prima.

Rinaldo Sandri: “Fammi spezzare una lancia a favore dei poveri ispettori maltrattati, bistrattati, vessati e non considerati. L’ATS ha un obiettivo principale: evitare che un evento simile si possa riprodurre o si possa ripresentare. Questo ragionamento è veramente molto approssimativo perché non tiene conto degli elementi concreti di causa che producono quell’evento, quindi non si è in grado di gestire il problema del nesso causale in maniera puntuale e seria.

Ma l’ATS fa ragionamenti macroscopici, va a tagliare il problema con l’accetta, e comunque riesce ad ottenere elementi di prevenzione straordinari in questo modo. È però evidente che se si passa il loro ragionamento al setaccio per trovare le falle, anche con un supporto tecnico, e magari si va ad evidenziare la struttura di prevenzione dell’azienda, i comportamenti eccetera, ci sono margini per far crollare o almeno mettere in dubbio l’impianto accusatorio”.

Leggi anche: Infortunio sul Lavoro – Perizie e indagini

Le fasi del procedimento

Vediamo un po’ come si compone – per sommi capi – il procedimento.

La prima udienza fa da filtro di smistamento. Si decide cosa fare (MAP, patteggiamento, abbreviato o rito ordinario) e si discutono le questioni preliminari.

Assumendo che si sia scelto di proseguire con il rito ordinario, la seconda udienza verrà dedicata all’esame dei testi del Pubblico Ministero ed eventualmente del consulente del Pubblico Ministero. I testi del Pubblico Ministero sono le testimonianze della persona offesa, dell’ispettore dell’ASL, dei colleghi di lavoro, magari dell’RSPP.

In seguito c’è un’udienza dedicata all’esame dell’imputato o degli imputati (tipicamente chiesto dal Pubblico Ministero), poi si sentono i testimoni della difesa e il consulente della difesa.

In ultima istanza c’è la discussione finale, che è importante fino ad un certo punto perché comunque il giudice si è fatto un’idea già in precedenza. Bisogna quindi essere molto bravi soprattutto nelle udienze di esame dei testi del Pubblico Ministero e della difesa, bisogna riuscire a rappresentare al giudice la tua storia e costituire su quello il giudizio controfattuale.

Spesso la difesa tenta di opporsi affinché che vengano depositati gli atti dell’indagine, quindi la consulenza dell’ATS. Perché?

Ce lo spiega Rinaldo Sandri.

“Facciamo un ragionamento un po’ ampio. Tipicamente il Pubblico Ministero non usa consulenti, salvo che per gli infortuni mortali. Negli altri casi usa come consulenti (impropriamente) i tecnici dell’ASL, che nei fatti sono coloro i quali esprimono i giudizi sulla responsabilità, quindi sulle cause dell’evento, ma ragionando solo di colpa. Le comunicazioni della notizia di reato, che di fatto sono vere e proprie consulenze, sono quindi versabili nel fascicolo del dibattimento solo con l’accordo delle parti.

Tipicamente gli uomini dell’ATS non fanno solo ragionamenti di responsabilità e quindi sviluppano ragionamenti di colpa. Inoltre dentro la comunicazione della notizia di reato inseriscono anche i riassunti delle dichiarazioni delle persone coinvolte, che non sono producibili né utilizzabili dal giudice per decidere perché sono, come dire, una ricostruzione.

La comunicazione della notizia di reato, quella che noi chiamiamo CNR, è il bignami dell’infortunio ed è quello che il Pubblico Ministero legge per costituirsi un’idea della responsabilità. Quindi si può ben capire è un riassunto orientato di parte… Ecco perché noi avvocati ci opponiamo in maniera veemente alla produzione di quei documenti dentro il fascicolo del giudice. Non si devono assolutamente produrre, non si possono produrre salvo che siano indifferenti rispetto alla responsabilità”.

Torniamo al dibattimento. Il giudice, parte terza, sente i racconti, riceve le relazioni dei consulenti della difesa, sente la discussione degli avvocati e sulla base di questo dovrebbe emettere la sentenza. Se ha qualche dubbio potrebbe, sollecitato dalle parti, nominare un perito che farà una valutazione terza – e che a quel punto, chiaramente, sarà determinante nel risultato del procedimento penale.

Infortunio non è uguale a condanna

Uno degli obiettivi di questo articolo è ribadire questo concetto chiave. Non è vero che se succede un infortunio il datore di lavoro è per forza nei guai, non è vero che viene necessariamente condannato.

È vero che si deve organizzare una buona difesa, è vero che deve per tempo pianificare un percorso e valutare la strada migliore da percorrere, perché a volte è meglio propendere per il rito abbreviato, altre volte per l’ordinario, altre volte per il patteggiamento o la messa alla prova.

Lascia poi che ti dica una cosa: tendenzialmente la squadra della difesa ci tiene a vincere molto più che quella dell’accusa. Per l’accusa è un procedimento come un altro, uno tra mille… a meno che non sia un infortunio finito sui giornali, ma gli infortuni “normali” non fanno notizia.

Quindi cosa succede? Il povero ispettore della ASL, che viene interrogato anni dopo, si ricorda sì e no cos’è successo, arriva lì con il faldone della relazione, inizia a scartabellare per cercare le risposte. E il PM è nella stessa situazione, carta da tutte le parti.

Quindi di fatto la difesa ha un grosso vantaggio, perché ci tiene di più a vincere e vincere non gli risulta nemmeno troppo difficile! Bisogna però saper vincere, organizzarsi.

Io, come forse sai già, ho una teoria che ribadisco sempre: l’infortunio ogni tanto capita. Questo è un ragionamento inconcepibile per un PM o per l’ATS, ma da persona che frequenta le isole robotizzate, le fabbriche, le sabbiatrici, le acciaierie e le fonderie, posso dirti che è così, si sa che ogni tanto qualcuno si fa male.

E quando succede, quando c’è un tipo di incidente con prognosi superiore a 40 giorni, si sa che parte in automatico il procedimento penale. Quindi è inutile nascondersi, procrastinare e poi stupirsi se arriva la lettera: bisogna prepararsi, mettere insieme una squadra, decidere una strategia.

Come spiega Rinaldo Sandri: “Non lo dice mai nessuno, ma ogni infortunio (grave) genera due procedimenti penali: uno per le violazioni antinfortunistiche e l’altro per l’infortunio. Quindi preparatevi a combattere…

Questo non vuol dire che si debba sempre affrontare il processo, ma quantomeno bisogna avere la consapevolezza di quello che si fa e di come lo si fa. Bisogna costruire una difesa subito, valorizzare i gioielli di famiglia, cioè le cose buone che si sono fatte: prevenzione, valutazione del rischio, formazione, macchinari marcati CE…”.

Lo sappiamo tutti: la valutazione di conformità ha necessariamente delle falle, perché nessuno è in grado di prevedere ogni problema prima che possa accadere. Di solito quello che causa l’infortunio è un fattore che è stato sottovalutato, un comportamento sbagliato che è diventato prevedibile solo dopo l’infortunio.

Rinaldo Sandri: “Il tema non è semplicissimo. L’ATS ragiona di massimo grado di sicurezza possibile, usando il parametro del 2087 del codice civile. Ogni imprenditore ragiona sui requisiti essenziali di sicurezza, cioè sul minimo da fare per poter dire di aver assolto alla prevenzione. Ovviamente c’è in mezzo un buco dove le cose possono succedere, ma non c’è più la responsabilità del datore di lavoro – e questo si può dimostrare.

Io ai miei clienti dico sempre che l’infortunio è una cena a cui dobbiamo sederci, è una situazione in cui prima o poi ci si trova. Allora è meglio andare dal giudice sapendo che si mangerà solo quello che porta il PM, o è meglio portare anche noi qualche portata per far vedere che siamo capaci di cucinare?

È come quando si gioca a scacchi, bianchi contro neri. Bisogna portare due narrazioni concorrenti, due diverse rappresentazioni della causa che ha scatenato l’evento. Se nel processo penale non si riesce puntualmente ad individuare la causa l’imprenditore verrà assolto, e quella per noi è una vittoria”.

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