Morire per una sciarpa in un macchinario

Cosa pensare dopo un infortunio mortale

Leggendo la sezione di Bergamo del corriere della sera ho letto una notizia triste.

Ho letto un articolo sulla morte di un’operaia mentre lavorava su un macchinario.

Copio dal quotidiano:

“L’incidente è avvenuto mentre l’operaia controllava la lavorazione. La collega di reparto l’ha vista intrappolata nel macchinario, con quella sciarpa che la stava strangolando, e ha cercato di aiutarla in tutti i modi. Ma non c’è stato niente da fare.

Come al solito non ci sono testimoni diretti dell’incidente, avvenuto poco prima delle 10.30 in un momento in cui nessuno si trovava vicino all’operaia.

Secondo una ricostruzione dei carabinieri e dei tecnici della Sicurezza sul lavoro dell’Ats, pare che la donna sia salita sulla scaletta collegata al macchinario per controllare da vicino il tessuto in lavorazione. Operazione che fa parte della normale routine.

Ma quando si è chinata sul macchinario la piccola sciarpa che l’operaia portava al collo si è sciolta, restando intrappolata nei cilindri in movimento che hanno stretto l’indumento al collo della donna, soffocandola senza scampo. La prima a trovarla è stata una collega, che l’ha liberata tagliando la sciarpa e ha poi dato l’allarme.”

È una triste storia di un infortunio mortale. Una donna è morta lavorando.

Leggi anche: Infortunio in azienda: l’importanza della documentazione sull’addestramento

Ciò che si nota da queste poche righe copiate dal Corriere di Bergamo

Per prima cosa possiamo notare che l’operaia portava una sciarpa.

Chiunque lavori in fabbrica e vive la fabbrica sa che non si portano indumenti che si possono impigliare. È aprile e non fa freddo. Non c’è motivo per coprirsi così tanto. Eppure è successo. Lei ha portato la sciarpa e questo le è costato caro, carissimo.

Secondo punto che possiamo notare è l’uso della scaletta per controllare la lavorazione come postazione di lavoro abituale. Le scale non sono pensate per questo uso. Non sono postazioni di lavoro. Eppure è stata cosi descritta.

Terzo punto che possiamo notare. La solitudine. La maggior parte degli infortuni mortali che abbiamo seguito succedono senza che nessuno veda. La ricostruzione dell’accaduto a posteriori è sempre su immaginazione, interviste, abitudini. Nessuno vede mai nulla.

E ora cosa succede?

Partono le indagini e bisogna individuare il nesso causale e le posizioni di garanzia.

La cosa più assurda è che le persone per uscire in bicicletta passano ore a scegliere l’abbigliamento tecnico più performante e poi vicino a una macchina operatrice oppure in un ambiente di lavoro a rischio si mettono la prima cosa che gli capita… (cit. Mario Villa)

Però è successo e ora l’azienda si deve difendere. Il costruttore di macchine si deve difendere. La famiglia della vittima merita di conoscere la verità e di venire risarcita.

Quindi? Partiamo dalle basi (cit. Avv. Rinaldo Sandri)

D.Lgs. 81/08 Art. 15. Misure generali di tutela

Le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro sono:

a)la valutazione di tutti i rischi per la salute e sicurezza;
b)la programmazione della prevenzione, mirata a un complesso che integri in modo coerente nella prevenzione le condizioni tecniche produttive dell’azienda nonché l’influenza dei fattori dell’ambiente e dell’organizzazione del lavoro;
c)l’eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico;
d) il rispetto dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro, nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, in particolare al fine di ridurre gli effetti sulla salute del lavoro monotono e di quello ripetitivo;
e) la riduzione dei rischi alla fonte;
f) la sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è, o è meno pericoloso;
g) la limitazione al minimo del numero dei lavoratori che sono, o che possono essere, esposti al rischio;
h) l’utilizzo limitato degli agenti chimici, fisici e biologici sui luoghi di lavoro;
i) la priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale;
l) il controllo sanitario dei lavoratori;
m) l’allontanamento del lavoratore dall’esposizione al rischio per motivi sanitari inerenti la sua persona e l’adibizione, ove possibile, ad altra mansione;
n) l’informazione e formazione adeguate per i lavoratori;
o) l’informazione e formazione adeguate per dirigenti e i preposti;
p) l’informazione e formazione adeguate per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;
q) le istruzioni adeguate ai lavoratori;
r) la partecipazione e consultazione dei lavoratori;
s) la partecipazione e consultazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;
t) la programmazione delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza, anche attraverso l’adozione di codici di condotta e di buone prassi;
u) le misure di emergenza da attuare in caso di primo soccorso, di lotta antincendio, di evacuazione dei lavoratori e di pericolo grave e immediato;
v) l’uso di segnali di avvertimento e di sicurezza;
z) la regolare manutenzione di ambienti, attrezzature, impianti, con particolare riguardo ai dispositivi di sicurezza in conformità alla indicazione dei fabbricanti.

Cosa non ha funzionato? Questo incidente quali di questi punti dimostra non rispettato?

Si inizia a tirare fuori la documentazione inerente la persona e l’attrezzatura di lavoro per dimostrare il rispetto di questi punti.

Se i preposti avessero vigilato e ripreso l’operaia sull’abbigliamento? Sarebbe ancora viva?

Tempo fa la Cassazione Penale si è pronunciata riguardo cosa possa essere ritenuto un comportamento anomalo e imprevedibile introducendo un nuovo “punto di vista”.

Questa sentenza è del 2015.

La Cassazione Penale, Sez. IV, 27 luglio 2015, n. 32761, ha considerato interruttiva del nesso di condizionamento <<la condotta abnorme del lavoratore non solo quando essa si collochi in qualche modo al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso ma anche quando, pur collocandosi nell’area di rischio, sia esorbitante dalle precise direttive ricevute ed, in sostanza, consapevolmente idonea a neutralizzare i presidi antinfortunistici posti in essere dal datore di lavoro; cionondimeno, quest’ultimo, dal canto suo, deve aver previsto il rischio e adottato le misure prevenzionistiche esigibili in relazione alle particolarità del lavoro>>.

Pertanto, il caso dell’infortunio di questa poveretta, va letto anche sotto questa nuova ottica.

Se il Datore di Lavoro aveva fatto tutto quanto era possibile e la donna non aveva rispettato le regole, allora non vedo profili di responsabilità del Datore di Lavoro ma, al massimo, una mancata vigilanza da parte dei preposti.

Se invece, la donna aveva la sciarpa perché nell’ambiente di lavoro si schiattava di freddo perché il Datore di Lavoro risparmiava sul riscaldamento, allora bisognerà cambiare strada e non usare questa sentenza. (Cit. Ing. Catanoso)

L’infortunio è avvenuto ad aprile e non faceva freddo. Ma come faccio a dimostrare di aver fatto tutto?

Guardiamo la macchina.

  • Esiste il manuale?
  • Esiste una procedura attaccata alla macchina o in sua prossimità che ricordi un uso sicuro agli operatori?
  • L’operaia era stata formata sull’uso della macchina?
  • La macchina è marcata CE?
  • Se è ante 1996 ha una dichiarazione di rispondenza allegato V 81/08?
  • Esiste una valutazione del rischio anche superficiale su quella macchina in quella azienda?
  • La formazione specifica fatta all’operaia come viene fatta? Di solito il manuale non esiste e la procedura di come usare la macchina nemmeno.
  • Esiste un sistema sanzionatorio formale o informale con cui si fanno rispettare le regole di comportamento?

Tutte queste cose vanno messe assieme nelle prime ore dopo l’infortunio. Bisogna capire subito come è messa l’azienda per proteggerla al meglio.

Il costruttore della macchina cercherà di tenersi fuori dicendo che la sciarpa non era concepibile. Che quell’indumento lo esclude dalle responsabilità. Ma quella scaletta potrebbe tirarlo dentro.

  • Il costruttore esiste ancora?
  • Quanti soldi ha?
  • Come cosa c’entra?

La famiglia della vittima va risarcita è chi ha più soldi finisce sotto tiro.

  • La macchina era progettata male?
  • L’operaia era obbligata a mettersi in pericolo per controllare la lavorazione?
  • Oppure la macchina è stata modificata dall’utilizzatore?

Per incidenti più piccoli che non finiscono sui giornali si manda una mail al costruttore chiedendo copia del manuale. In questo modo si cerca di recuperare informazioni. Oppure si chiede in modo “ingenuo” se quell’operazione va bene. Serve a scaricare un pò di colpa sul costruttore. La torta del risarcimento va divisa.

Per quale motivo non c’erano pulsanti o corde di emergenza a portata di mano della vittima? Magari non era previsto che lavorasse li, oppure non ci ha pensato nessuno, nemmeno il costruttore.

Magari la scaletta è una di quelle mobili e il costruttore non ha pensato a come far controllare la produzione in un punto evidentemente necessario. Io non ho visto il macchinario, ma sto cercando di dare spunti per evitare incidenti futuri.

Le persone muoiono lavorando tutti i giorni e la cosa non fa notizia. La gente lo accetta e lo mette nel conto.

Noi cerchiamo di accendere un fiammifero in una stanza buia con la speranza di aiutare chi legge a migliorare dove lavora. Questo articolo vuole fornire spunti di riflessione, non una soluzione.

Quando si organizza la formazione in fabbrica riceviamo sempre questi due feedback opposti.

I consulenti di sicurezza ci dicono:

Scarsa formazione antinfortunistica del lavoratore, non si possono sacrificare ore di lavoro per la sicurezza… Bisogna produrre a ogni costo” (cit. Vincenzo Surace)

Gli operai ci dicono:

“la formazione è un modo per scaricare la colpa a noi operai!”

Devo ammettere però che una sciarpa in fabbrica è oltre il buon senso. Come mai i colleghi non l’hanno fermata? Come mai era accettata questa brutta abitudine?

Noi, nel nostro piccolo, cerchiamo di fare la nostra parte. Fallo anche tu.

Morte per una sciarpa in un macchinario | Certificazionece

Il problema per il direttore e il legale rappresentante è di poter dimostrare che si tratta di comportamento esorbitante della lavoratrice.

Si deve sottolineare che il sistema della normativa antinfortunistica si è evoluto (cit. varie sentenze ultime Cassazione) passando da un modello “iperprotettivo” interamente centrato sulla figura del datore di lavoro, quale soggetto garante investito di obbligo di vigilanza assoluta dei lavoratori, a un modello “collaborativo” in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori.

Bisogna definire con cura quale sia stato il nesso causale.

Due elementi da considerare:

  • A) la scala;
  • B) l’impigliamento.

A) Il problema della scala

Va verificato se è correttamente applicato sia l’accesso al macchinario come da direttiva macchine norme EN 14122-1 -2 e -3; sia come da art. 113 del TU 81/08, ma si deve poi far escludere questo come nesso causale.

B) Invece si deve trattare l’impigliamento come reale causa dell’evento mortale.

Le variabili da considerare.

1) Il rischio residuo impigliamento in quella zona è accettabile? È stato applicato tutto il possibile?

La Norma evidentemente non può specificare esattamente e in modo inequivocabile quando un “Rischio Residuo” sia accettabile.

Si tratta di una valutazione che ricade sotto la responsabilità del Datore di lavoro, e che può essere diversa in situazioni diverse.

Ad esempio la Norma armonizzata UNI EN ISO 12100:2010, la cui applicazione fornisce la conformità alla Direttiva macchine, al paragrafo 5.6.2 dice:

Adeguata riduzione del rischio

L’applicazione del metodo dei tre stadi (three-step method) descritto nel punto 6.1 è essenziale per l’ottenimento dell’adeguata riduzione del rischio.

Dopo l’applicazione del metodo dei tre stadi, si ottiene l’adeguata riduzione del rischio quando:

  • sono state prese in considerazione tutte le condizioni di funzionamento e tutte le procedure di intervento;
  • i pericoli sono stati eliminati o i rischi sono stati ridotti al livello più basso possibile;
  • tutti i nuovi pericoli che sono stati generati dalle misure di protezione sono adeguatamente affrontati;
  • gli utilizzatori sono sufficientemente informati e avvertiti sui rischi residui (vedere il punto 6.1, stadio 3);
  • le misure di protezione sono compatibili tra loro;
  • è stata dedicata sufficiente considerazione alle conseguenze che possono derivare dall’uso di una macchina progettata per l’utilizzo professionale/industriale se utilizzata in un contesto non-professionale/non-industriale;
  • le misure di protezione non si ripercuotono negativamente sulle condizioni di lavoro dell’operatore o sull’utilizzabilità della macchina.

Come si può notare si parla di “livello più basso possibile” e soprattutto si distingue se il contesto è professionale/industriale oppure no. Il rischio residuo accettabile appare diverso se il macchinario in questione viene utilizzato da lavoratori non-addestrati (ad esempio stagionali) o se viene utilizzato da operatori formati e addestrati magari dopo anni di esperienza lavorativa.

Nel nostro caso si tratta di persona esperta e addestrata.

2- La protezione contro impigliamento è idonea?

La procedura di verifica si fa con la EN 12100, dove si trova una figura che illustra bene (figura 4) e qui non abbiamo informazioni se si tratti di parti mobili che partecipano alla lavorazione o parti mobili di trasmissione.

Su questa base si può vedere se esiste una responsabilità del costruttore del macchinario. O se esiste un vizio palese che non è stato segnalato e corretto.

Nel DVR questo tipo di macchinario è stato esaminato? Sono stati valutati i rischi in modo idoneo.

Bisogna trarre argomenti ed evidenze oggettive per proteggere il comportamento dell’azienda.

(A questo fine è fondamentale analizzare quali prescrizioni ex D. Lgs 758/94 sono state impartite all’azienda da parte degli ispettori ASL: se sono da accettare in toto oppure no… perché questo può prefigurare un esito negativo per l’azienda).

Se ipotizziamo di poter dimostrare che le protezioni adottate sono idonee e rimane solo un rischio residuo impigliamento: nel nostro caso si arriverà alla conclusione, al termine del lungo excursus normativo, che l’unica vera efficace misura preventiva è l’utilizzo di idoneo dpi, come prescrive il d. Lgs 81/08:

Articolo 75 – Obbligo di uso

  1. I DPI devono essere impiegati quando i rischi non possono essere evitati o sufficientemente ridotti da misure tecniche di prevenzione, da mezzi di protezione collettiva, da misure, metodi o procedimenti di riorganizzazione del lavoro.

Allora il rischio residuo è da tenere sotto controllo, si applica la EN 510 sui DPI, che è specifica!

Specifiche per indumenti di protezione da utilizzare in presenza di rischio impigliamento con parti in movimento. Quindi il rischio residuo impigliamento è considerato e trattato.

Leggi anche: Sicurezza sul lavoro: come gestire e non subire gli infortuni

Conclusioni

Sarebbe stato sufficiente all’operatrice comportarsi in modo corretto e non sarebbe successo nulla. Comportamento esorbitante di sicuro, quindi?

Prima bisogna dimostrare che:

  • il rischio è stato indicato dall’RSPP nel DVR o in altro modo (altrimenti potrebbe essere coinvolto);
  • se questo è stato fatto, se l’RSPP ha indicato e curato la formazione specifica più la distribuzione dei DPI con le apposite procedure…

Trattandosi di un evento mortale, bisogna raccogliere tutti questi elementi a sua difesa, in modo tempestivo.

Mettere in piedi una bella indagine difensiva, senza aspettare l’esito delle indagini che sono coperte da segreto istruttorio e che sempre portano a spiacevoli sorprese.

Bisogna trarre argomenti ed evidenze oggettive per proteggere il comportamento dell’azienda.

In genere, in casi come questo, è difficile difendersi solo alla fine delle indagini, dopo magari 18 mesi e quando gli UPG si sono fatti precise idee.

Ti posto qui alcuni video che ti potrebbero essere utili:

Comportamento Abnorme non salva sempre il datore di lavoro

Investigazioni difensive dopo un infortunio: quando si fanno?

Organigramma sicurezza: quando non sono responsabile?

Memoria difensiva dopo un infortunio

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