Costruttore Forni Elettrici e Lavori in Quota – Incidenti prevedibili

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SI SALVA CHI LO SA SPIEGARE MEGLIO



Storia ovviamente modificata per non renderla riconoscibile

Un costruttore di forni elettrici, che cura molto la sicurezza e la valutazione del rischio delle sue macchine, un bel giorno si è trovato di fronte a una rogna.

Nella sua progettazione lui ha previsto che certe strumentazioni e certi dispositivi siano collocati alla sommità del forno, che a volte supera i 3 metri di altezza. Questo consente ovviamente di abbassare i costi di produzione. Tanto non è frequente dover metterci mani, e quando si fa, vuol dire che si è in manutenzione e c’è tutto il tempo ed il modo di operare in sicurezza.


Certo agire a tre metri da terra significa operare in quota.

Ma lui fornisce la sua macchina senza alcun piano di lavoro sopra il forno, e delega le misure di sicurezza da prendere all’utilizzatore. Questi infatti può provvedervi se lo desidera, o può posizionare il forno in zona servita da strutture fisse o utilizzare piattaforme mobili apposite.

Come sempre, per valutare il problema e ragionarci sopra, raccontiamo una storia vera.

Un  addetto al forno era incaricato anche di operare su un dispositivo collocato alla sommità durante un particolare ciclo di lavorazione, perché ciò influiva in modo determinante sul risultato finale del prodotto trattato termicamente.


Quindi questo addetto era stato dotato di un “trabattello” . Questo ponte su ruote era adeguato a quanto prevede l’Art. 140 del TU 81/08 e la norma 1004. Meglio di così!

Ma in una certa situazione è successo che l’addetto sia stato “costretto” a salire sul forno.

Certo, non avrebbe dovuto, ma era questione di pochi minuti, poche volte, per ottenere un certo risultato dal ciclo di lavorazione. Non ci si poteva rinunciare. L’unica soluzione alternativa sarebbe stata la costruzione di un piano di lavoro fisso: che avrebbe dovuto esistere fin dall’inizio, fin da quando il forno è stato installato.



Di Chi è La Colpa?

Quando è successo il guaio, quando l’addetto si è fatto male cadendo, è sorto il problema: di chi è la colpa?

Dopo le varie vicende che si sono succedute, a ragion veduta, la nostra conclusione è che si salva chi lo sa spiegare meglio.

Quando lavoriamo noi siamo alle prese con tutte le questioni che portano a proteggere il nostro cliente. Analizziamo il problema da tutti i punti di vista, usiamo le norme nel modo migliore, e non cadiamo mai in scorciatoie, forzature, eccessive semplificazioni.


Vogliamo che la “controparte”, cioè  sia il consulente tecnico del tribunale, il Ministero, l’UPG della ASL e così via, ci ritengano credibili. Ma non cediamo mai dalle nostre posizioni, ben argomentate.

Il nostro tesoro sono i nostri clienti, che rischiano in proprio. Gli altri sono la controparte, che rispettiamo e da cui pretendiamo di essere rispettati.

In questo modo stiamo diventando sempre più bravi a “spiegare meglio”.

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