Certificazione CE di un vecchio Recipiente in pressione preso In Svizzera

Un recipiente in pressione, costruito in Italia ai primi anni ’90, è stato venduto in Svizzera.

A quei tempi esisteva l’ISPESL, e il costruttore del recipiente ha fatto tutte le carte necessarie in Italia. Ha fatto le carte che in quel momento erano previste dalle normative in vigore. Si tratta di vent’anni fa.

Un recipiente in pressione, però, a che serve? Ad essere assemblato con altri componenti per costituire una attrezzatura di lavoro. Per esempio una sterilizzatrice, una camera stagna, una autoclave, un reattore, un forno. A quel tempo la normativa era piuttosto approssimativa e gli adempimenti talvolta banali. E NON ESISTEVA ANCORA LA CERTIFICAZIONE CE.

Ora sono passati, appunto, vent’anni e –data la crisi- il recipiente diventa interessante per una ditta italiana, che lo vuole acquistare per utilizzarlo nella sua fabbrica.

A prima vista si può pensare che non ci siano problemi: tra la UE e la Svizzera esiste il mutuo riconoscimento: dal 2002 per tanti settori si legge che: “La Comunità e la Svizzera accettano reciprocamente i rapporti, i certificati, le autorizzazioni e i marchi di conformità rilasciati dagli organismi riconosciuti e le dichiarazioni di conformità del fabbricante … “ e questo vale anche per i recipienti in pressione.

Ma non è tutto a posto: il recipiente non è certificato CE. E la nuova immissione sul mercato, da Svizzera a UE, comporta a questo punto di obbligo la marcatura CE, che rispetto a vent’anni fa è una novità. Se fosse già marcato CE, e PED, in Svizzera, non ci sarebbero problemi, per questo mutuo riconoscimento.

Quindi salta fuori che il cedente, per non incorrere in sanzioni, si deve preoccupare che l’attrezzatura venga adeguata dal fabbricante e poi certificata CE.

Perché dal fabbricante? Perché è l’unico in possesso delle necessarie informazioni, non si riesce a sostituirlo.

E l’acquirente-utilizzatore è bene stia accorto: se la prende e la mette in funzione comunque, lo fa in modo scorretto e si assume in qualche modo anche le responsabilità del venditore.

Quindi, per proteggersi, l’acquirente deve pretendere la marcatura CE, secondo la Direttiva Macchine la PED, almeno. Il venditore, per proteggersi, deve fare la stessa cosa nei confronti del fabbricante, e collaborare per marcare CE il tutto.

Anche il fabbricante in questo modo risulta protetto: in caso malaugurato di infortunio grave lui verrebbe chiamato in causa.

Insomma la cosa è complicata, per quanto si cerchi di semplificare.

Mettere in servizio vecchie macchine usate è sempre un rischio. E la normativa non riesce a coprire e spiegare tutte le 50 sfumature che la realtà presenta.

Per proteggersi in questo caso conviene certificare CE, anche perché le attrezzature a pressione sono soggette alle verifiche periodiche da parte di Ente Autorizzato, quindi magari prima o poi la cosa salta fuori, con guai economici e spese impreviste per tutti.

Il che non è impossibile, perché i dati originari di fabbricazione sono stati già sottoposti alla vigilanza dell’ISPESL.  Quindi il fabbricante può riprendere in mano la situazione e completare il fascicolo tecnico, con tutto quello che ne consegue.

In caso estremo si può pensare ad una marcatura PED da parte dell’Utilizzatore acquirente, se ne ha le competenze.

Una verifica dello stato dell’apparecchiatura e della documentazione disponibile da parte di un Organismo notificato può essere una strada percorribile. Non facile, ma percorribile.

 

 

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